Controllate il vostro smartphone ogni 10 minuti?
Vi assale il panico se pensate di aver dimenticato lo smartphone a casa o se si sta scaricando la batteria?
Fate tutte queste cose ma non ve ne rendete conto?
Se mettete in atto questi comportamenti potreste aver sviluppato una vera dipendenza da smartphone: la «nomofobia», per il mondo anglosassone «nomophobia».
La definizione deriva dall’abbreviazione inglese «no-mobile-phone», così definita nel 2008, in seguito ad un'indagine condotta in Gran Bretagna da YouGov plc (organismo di ricerca con sede nel Regno Unito), per conto di Post Office Telecom su un campione di 2.163 persone.
Lo studio ha rilevato che, in Gran Bretagna, oltre la metà degli utenti di telefonia mobile (quasi il 53%) tende a manifestare stati d’ansia quando rimane a corto di batteria o di credito, o senza copertura di rete oppure senza il cellulare. Pare che, nelle situazioni sopra descritte gli uomini tendano ad essere più ansiosi delle donne. Lo studio riferisce che circa il 58% degli uomini e il 48% delle donne soffrono di questa nuova fobia.
SINTOMI
Parliamo di Nomofobia quando una persona prova una paura sproporzionata di rimanere fuori dal contatto di rete mobile, al punto da sperimentare effetti fisici collaterali simili all’attacco di panico: mancanza di respiro, vertigini, tremori, sudorazione, battito cardiaco accelerato, dolore toracico e nausea.
Secondo gli studi di David Greenfield, professore di psichiatria all’Univeristà del Connecticut, l’attaccamento allo smartphone è molto simile a tutte le altre dipendenze, perché causa delle interferenze nella produzione della dopamina, il neurotrasmettirore che regola il circuito celebrale della ricompensa: in altre parole, incoraggia le persone a svolgere attività che credono gli daranno piacere.
«Come in ogni dipendenza, il primo sintomo è la negazione – spiegano i ricercatori - . Anche se la tecnologia ci consente di sbrigare il nostro lavoro più velocemente e con efficienza, i dispositivi mobili possono avere un effetto pericoloso sulla salute: dobbiamo indagare il fenomeno ancor più in profondità e studiarne gli aspetti psicologici». «Quella sensazione di “perdersi qualche cosa” se non si controlla costantemente, è del tutto illusoria – conclude Greenfield -. Quello che succede sullo schermo non ha nulla a che fare con la nostra vita».
Fonti: La Stampa
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