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Lo psicologo risponde: Violenza psicologia o dipendenza affettiva?

La richiesta della settimana:

"Buongiorno,
sono una ragazza di 24 anni, felice della vita che ha, anche se a volte qualche ombra prende il sopravvento. Si tratta di paure che non mi lasciano e che ogni tanto si fanno sentire fortissime, ansie e attacchi di panico che, nonostante io sia finalmente felice, mi tornano a trovare.
Tutto è iniziato un bel po' di anni fa quando, dopo tre anni di fidanzamento, mi rendo conto che le cose non vanno e piano piano mi distacco dal mio fidanzato e finisco per innamorarmi follemente del suo migliore amico. Lui aveva sei anni più di me, era fidanzato e prossimo alle nozze, e per mesi è stato il mio migliore amico. O almeno, io credevo fosse questo, in realtà lui stava studiando tutto di me, ogni singolo dettaglio, soprattutto quando mi sfogavo per come andava la mia relazione. Mi è stato tanto vicino e mi ha difesa ogni volta che litigavo con il mio fidanzato. Un giorno si è dichiarato e il mio equilibrio si è spezzato. Mi sono innamorata completamente e sono diventata succube di lui. Lui aveva studiato tutto di me e riusciva con abilità a rigirarmi come voleva. Per lui ho mollato il mio ragazzo ma mentre mi prometteva di non sposarsi e lasciare la fidanzata in realtà continuava a progettare il suo futuro. Credevo ad ogni sua bugia e le volte che mi stancavo e mi ribellavo lui insinuava nella mia testa sensi di colpa che mi portavano sempre a scusarmi. Manipolava i miei pensieri. Era geloso, possessivo, non voleva che io guardassi altri uomini, ma lui non lasciava mai la sua fidanzata. Io lo minacciavo di dire tutto a lei, ma lui mi minacciava, consigliandomi di comportarmi bene. Io non avevo più personalità, non riuscivo più ad essere me stessa, a parlare con le amiche, a volermi bene. Facevo, pensavo e dicevo tutto in funzione di lui. Abbiamo fatto l'amore e non mi sono mai sentita così umiliata in vita mia, è stato bruttissimo, ma non ho mai avuto il coraggio di dirglielo. Preciso che lui non mi ha mai costretta a fare niente, e non mi ha mai fatto del male fisicamente, non mi ha mai toccata con un dito. Fingeva di essere un gentiluomo, mi trattava apparentemente da regina. Dopo qualche mese la storia è finita, perché lentamente ho capito che mentiva. Io sono stata malissimo per mesi, ma poi sono piano piano rinata, ritrovando la serenità, la felicità e l'amore vero. Nonostante questo, le conseguenze di quello che mi è successo a volte si manifestano attraverso le mie paure, le mie ansie e i miei blocchi.
Mi sono a lungo documentata, e vorrei sapere se in quel periodo sono stata affetta da dipendenza affettiva e se sono stata vittima di violenza psicologica.
Attendo una risposta.
Grazie per l’attenzione."
 

 LA PSICOLOGA RISPONDE

Gentile lettrice,
ho letto con molta attenzione la sua storia, quello che mi chiede è di dare una definizione “diagnostica” a ciò che è accaduto, fare questo è molto complesso perché la violenza psicologica e la dipendenza affettiva sono strettamente collegate. Entrambe non possono essere definite come comportamenti appartenenti all’uno o all’altro o come problema individuale, si tratta più che altro del risultato della relazione e dei “giochi interattivi” attuati dai membri della coppia.
La violenza psicologica consiste nel manipolare l’altro per ottenere o mantenere il potere nella relazione. I comportamenti per attuarla sono subdoli e si fanno strada lentamente all’interno della relazione, tanto che per l’altro membro della coppia è molto difficile riconoscerli, per questo vengono accolti, ma finiscono per procurare una sofferenza sottile, che nel tempo corrode sempre di più influenzando l’autostima e la libertà. Spesso le manovre della violenza tendono ad isolare l’altro facendolo sentire sempre colpevole e inadeguato.
La dipendenza affettiva è una forma di relazione emotiva caratterizzata da assenza di reciprocità, dove un membro della coppia dona tutto se stesso vedendo nell’altro l’unico scopo della propria esistenza. Il partner viene spesso percepito come sfuggente e inafferrabile, ma allo stesso tempo diviene il riempimento dei propri vuoti affettivi.
Di solito la sequenza degli eventi che porta a questi circoli viziosi è molto simile nelle varie esperienze: 
  1. Incontro e conoscenza - di solito vissuti con grande ambivalenza, spesso si conosce il partner in situazioni non usuali, dove in realtà non si è pronti ad aprirsi ad una relazione;
  2. Fase dell'ambivalenza e incertezza - inizialmente non si prova attrazione per il partner, si percepisce qualcosa che non va o comunque qualcosa che non ci piace;
  3. Fase dell'autoinganno - la persona che in un primo momento non destava in noi interesse inizia a diventare una figura fondamentale. In questa fase entra in gioco il processo della coerenza cognitiva, in cui per esempio si potrebbe affacciare alla nostra mente un pensiero di questo tipo: “dato che questa persona insiste e mostra interesse per me, se io continuo a sentirla vorrà dire che mi interessa”, oppure “questa persona mi ha aiutato in qualche modo pertanto è la persona che potrebbe risolvere tutti i miei problemi”;
  4. Fase dell'innamoramento - la persona in questione inizia ad assumere un’importanza fondamentale nella nostra vita e sentiamo la necessità di ricambiare il suo amore, questa fase è molto pericolosa poiché si rischia di esporre il proprio sé indifeso all'altro;
  5. Fase dell'idealizzazione - l'altro viene visto come perfetto, tutti i segnali di ambivalenza iniziali svaniscono, si inizia a non dare più ascolto al proprio istinto e ci si concentra solo sugli aspetti dell’altro che contribuiscono a colmare il nostro vuoto affettivo;
  6. Fase della dipendenza attiva - la persona inizia a rendersi conto che è dipendente, inizia una fase di grande sofferenza perché si comprende che la relazione che stiamo vivendo non contribuisce a renderci felici né tantomeno a colmare quel vuoto affettivo che sentiamo, ma allo stesso tempo sentiamo di non poterne fare a meno.
  7. Fase sintomatica vera e propria – in questa fase possono manifestarsi dei sintomi fisici veri e propri, come ad esempio: dolori di varia natura, ansia, attacchi di panico, depressione, scoppi di pianto, ecc…
Una volta arrivati in questa fase vengono messi in atto dei meccanismi che contribuiscono a mantenere la relazione, ad esempio: si pensa che la colpa è solo nostra e che se noi cambiamo anche il partner cambierà, si attende fiduciosi che le cose cambieranno, si idealizza il partner e si inizia a pensare che tanto sono tutti così e che non possiamo aspirare a qualcosa di meglio.
Nel suo caso, però, lei è riuscita ad uscire da una di queste relazioni logoranti e lo ha fatto aprendo gli occhi e riconoscendo il suo valore personale. È comprensibile che percepisca delle ombre dal passato, come dicevo in precedenza, gli atteggiamenti che portano a questo incastro sono subdoli e all’inizio non vengono riconosciuti, per questo potrebbe vivere costantemente in allerta, per la paura di non accorgersi nuovamente di questi meccanismi.
Questo spiegherebbe la sensazione di ansia costante che descrive. L’ansia, infatti, è uno stato di tensione derivante dall’eccessiva attenzione rivolta ad un pericolo sconosciuto o impercettibile.
Il consiglio che posso darle è di “invertire il riflettore” cioè, invece di prestare attenzione al suo partner, o in generale a fattori esterni, si concentri su di lei e si valorizzi coltivando i suoi interessi e le cose che la rendono felice indipendentemente dall’altro. Più la sua autostima è salda, meno sarà in pericolo di ricadere in relazioni logoranti come quella che ha vissuto.
Spero di esserle stata utile.
Dott.ssa Alessandra Cescut

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